Caterina Piermattei, insegnante alla scuola secondaria Fermi di Rimini, racconta la sua esperienza e il suo punto di vista sul progetto.
Non rinunciare alla qualità
L’interazione con l’utenza, la continuità verticale e la continuità orizzontale rappresentano nella scuola di oggi tre criteri di qualità irrinunciabili. La scuola pertanto, oggi più che mai, non può più chiudersi verso comportamenti organizzati regolati da logiche interne ed autoreferenziali, ma deve individuare canali di contrattazione e di scambio con l’ambiente esterno creando una rete interistituzionale. Credo che la progettualità, la collaborazione con gli enti locali e con il territorio, nonché la creazione di reti di scuole siano punti di forza a cui assolutamente noi insegnanti non dobbiamo rinunciare per la valenza preventiva e per la produttività di tali interventi, intesi come insieme dei risultati intenzionalmente perseguiti.
Come referente dell’intercultura e dell’orientamento della scuola media di primo grado dove insegno, sono fortemente cosciente che sempre più la scuola si pone come luogo di prevenzione del pregiudizio e della discriminazione e risulta essere il contesto privilegiato per la formazione di atteggiamenti di rispetto e di accettazione di tutte le diversità presenti.
Suddividersi i compiti
L’avvio del progetto “Non conGelateci il Sorriso” (storie di amicizia come contrasto al bullismo) con così tante implicazioni è non sempre facile e immediato e, all’inizio, l’importanza di tale lavoro da una parte, e la voglia di dare più spunti di riflessione possibili ai ragazzi dall’altra, può intimorire. Ho pertanto ritenuto utile separare le responsabilità (cioè rispetto a quanto possa essere fatto anche dagli altri docenti, dalle famiglie e/o dagli enti locali) e sono passata a chiedermi concretamente:
- Cosa posso fare io nelle mie ore in classe.
- Cosa posso concordare con i miei colleghi.
- Per quali problemi è utile chiedere la collaborazione ad altri servizi.
Punti di partenza e di osservazione
Nella classe in cui svolgevo il progetto, ho proposto un questionario il cui obiettivo era quello di identificare il livello e le qualità dei comportamenti sociali (sia positivi, sia negativi) avvenuti nel corso dell’ultimo mese.
In seguito a tale somministrazione è stato possibile costruire degli indici per avere un’indicazione immediata del problema ( e di come era percepito nella classe/scuola).
Tutte le voci sono state ascoltate ed hanno concorso all’unisono ad ipotizzare possibili soluzioni perché, come asserisce Popper “il fatto che per ogni problema esista un’infinità di soluzioni logicamente possibili è uno dei fatti decisivi di tutta la scienza“.
Soffermandoci proprio sulle possibili soluzioni che si possono adottare, se e quando nasce un problema all’interno di un microcosmo come la scuola o la classe, si è “cercato di risolverlo” e non di “risolverlo” in quanto non ci sono certezze o formule magiche, ma ogni asserto può essere ipotetico, fallibile e provvisorio. È per questo necessaria la creatività come prerogativa umana da attivare ogni volta che ci si ponga qualche situazione problematica.
Sono stati proprio gli stessi alunni nella presentazione della prima parte di quest’esperienza, la drammatizzazione di alcuni tra gli episodi di bullismo più frequenti e noti agli stessi ragazzi, a dire ai loro genitori “Abbiamo capito che dobbiamo parlare, parlarne e parlarvi”.
Mettere in fila le cose
Nel mio caso, trattandosi di una classe prima (e molti alunni per la prima volta prendono il pullman per compiere il tragitto casa-scuola, luogo tra i più a rischio per il fenomeno del bullismo) ho preferito soffermarmi, più che sulle storie di amicizia, che tratterò in seconda, sull’analisi del fenomeno bullismo, partendo proprio dalla terminologia che lo connota.
Ho poi presentato loro dei luoghi comuni su cui riflettere:
1. Nella nostra scuola il fenomeno non esiste
2. La vittima deve solo imparare a difendersi
3. È stata solo una ragazzata
4. A volte le vittime se lo meritano
5. Gli insegnanti sanno come affrontare il problema; è il loro lavoro (spesso le famiglie o altri servizi infatti delegano solo alla scuola).
Siamo perciò entrati nella fase della letteratura sia scientifica (per la documentazione) sia della lingua italiana (da Rosso Malpelo di G. Verga ad Io non ho paura di N. Ammaniti). Abbiamo fatto dunque un’analisi del problema attraverso mappe concettuali, mentali e semantiche.
Buttiamo giù il muro del bullismo
È questo il titolo scelto per il nostro lavoro. I cubi come modalità simbolica rappresentano sia i mattoni del muro, sia le molteplici facce del fenomeno. È per questo che su ogni lato del cubo i ragazzi hanno scritto, disegnato, interpretato, inventando fisionomie, visi ed espressioni a volte realistici, altri comici o surreali e altri ancora inquietanti, riportando anche frasi, idiomi, modi di dire, banalizzazioni linguistiche, turpiloqui e tutto ciò che dietro l’adozione di questa prassi da bottega andava invece lentamente evidenziando un apprendimento esperienziale. Inoltre, scrive Sara, “la forma quadrata del cubo dove abbiamo disegnato le facce dei bulli ricorda una mente poco aperta alle idee, agli altri e ai pensieri”.
Infine la verbalizzazione dell’esperienza ha reso possibile estendere ulteriormente il significato e rendere possibili le inferenze ed il ragionamento. Conoscere e vedere quindi le cause – le conseguenze – le possibili soluzioni. Come afferma Gazzanica “Il modulo linguistico ha un ruolo centrale perché, fra le altre, ha la delicata funzione di interpretare anche comportamenti determinati inconsciamente“.
Produrre cultura
Conoscere la cultura del proprio tempo è inevitabile e la scuola, afferma Dewey, è una microsocietà che prepara al futuro. Pertanto noi educatori abbiamo un’etica della responsabilità nei confronti delle generazioni future.
Studi recenti, tra l’altro, hanno confermato come la scuola sia determinante nella prevenzione e riduzione del bullismo.
Bruner pensa ad una scuola che si faccia cultura, una cultura intesa in senso procedurale, cioè cultura come “cassetta degli attrezzi” di tecniche e procedure per capire e per gestire il proprio mondo. Parafrasando Bruner potrei dire che i lavori per la decostruzione/demolizione del nostro muro sono davvero iniziati con gli attrezzi necessari e giusti, con la consapevolezza che norme e imperativi morali necessitano di essere interiorizzati e al contempo come insegnante devo cercare di prolungare, come “Nell’educazione un tesoro” di J. Delors, il processo educativo al di fuori dell’aula.